Lo smart working, che moltissime aziende hanno adottato in questo periodo di emergenza per poter garantire una continuità operativa, ha implicato un massiccio uso dei nuovi strumenti digitali e ha richiesto una riorganizzazione dei modelli organizzativi e lavorativi. Tra questi, non bisogna dimenticare il GDPR, il General Data Protection Regulation, ovvero il nuovo Regolamento europeo in tema di protezione della privacy entrato in vigore il 25 maggio 2018.
Questa nuova normativa ha coinvolto le aziende a suo tempo a riorganizzare l’impostazione della gestione dei dati personali dei propri dipendenti e dei propri clienti e partners in modo da tutelare adeguatamente tutte le informazioni in proprio possesso. 

Smart working e GDPR : i dati a casa sono davvero sicuri?

Anche smart working e GDPR sono connessi: se infatti le imprese si sono ad oggi adeguate alla nuova normativa, la modalità del lavoro agile mette in luce nuovi rischi in materia di protezione dei dati personal. Gli smart workers sono infatti in possesso di informazioni che l’azienda normalmente tutela grazie alle misure prese per adeguarsi al GDPR. Ma cosa succede fuori dalle mura aziendali?

Un lavoratore che prosegue il proprio lavoro da casa, in smart working, ha normalmente accesso a moltissimi dati aziendali, così come avveniva in ufficio: documenti, database, contatti dei clienti, offerte e via discorrendo. Ma nel caso del lavoro agile, li maneggia con strumenti diversi da quelli che utilizzava nella propria sede lavorativa: computer personale, tablet, cellulare come supporti ma anche strumenti di collaborazione digitale come cartelle in Cloud, strumenti di videoconferenza, live chat con i colleghi. E ancora: connessione ad internet personale e accesso ai dati aziendali attraverso connessioni VPN.

Questi strumenti, tuttavia, nella maggior parte dei casi esulano dalle misure prese dalle aziende per la protezione dei dati, per cui il rischio di infrangere le norme previste dal nuovo regolamento è altissimo. Basta pensare alla totale assenza, all’interno delle abitazioni private, di tutte quelle misure tecniche di sicurezza e protezione dei dati che le aziende hanno attuato per adeguarsi alla nuova normativa e alla grande mole di dati che viene quindi gestita senza nessuna protezione. Ecco perchè smart working e GDPR sono due aspetti che vanno ancora regolati per farli convivere.

Come garantire la tutela della privacy in smart working

Con i decreti emanati dal Governo per la regolamentazione dell’emergenza e il supporto alle imprese, lo smart working è stato autorizzato come modalità lavorativa per tutte le imprese del territorio nazionale. All’interno dei decreti, tuttavia, non sono state specificate misure da adottare per la tutela della privacy per questa specifica modalità di lavoro. E’ importante, tuttavia, fare in modo che la tutela dei dati personali sia garantita anche con il lavoro agile, che molto probabilmente è una modalità che continueremo a praticare, seppur in minor modo, anche quando potremo di nuovo accedere alle sedi lavorative in tutta sicurezza. Lo smart working, infatti, è una modalità lavorativa che prevede lo svolgimento delle proprie mansioni non solo presso l’abitazione, ma anche luoghi pubblici, luoghi di coworking e, ovviamente, la sede aziendale.  Come procedere quindi? 

I nuovi strumenti digitali sicuramente giocano un ruolo importante in questo senso, perchè sono l’ingrediente imprescindibile per una lavoro agile efficace e sicuramente entreranno a far parte della nuova cultura lavorativa e dei relativi modelli organizzativi. E’ opportuno quindi applicare anche all’uso di questi nuovi strumenti tutte le regole che la normativa prevede all’interno delle sedi lavorative e limitare, ove possibile, il trattamento di dati ad elevato rischio finché non verranno specificate indicazioni precise per il trattamento dei dati personali con la nuova modalità di lavoro agile. 

 

Published On: Maggio 15th, 2020 / Categories: News da smeup / Tags: , , , /

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