Negli ultimi anni si è sentito, e si sente sempre più, parlare di Internet delle Cose. Ma quando scendiamo nel pratico, per molti risulta difficile farsi una idea chiara delle componenti costitutivi di una rete di oggetti connessi.

Prima di tutto: perché parliamo di oggetti connessi?

IoT, acronimo di Internet of Things (Internet delle cose), è un insieme di tecnologie che permettono agli oggetti fisici di collegarsi a Internet per scambiare informazioni ed eseguire azioni in funzione di determinati eventi.

Il frigorifero che “ordina” autonomamente il latte perché si “accorge” che questo sta per finire, il condizionatore che regola la temperatura in funzione del fatto che io sto per entrare in casa o in ufficio, un sensore che segnala al servizio di gestione della nettezza urbana che un dato raccoglitore di rifiuti sta per riempirsi.

Questi sono esempi di oggetti intelligenti e connessi. Parliamo, quindi di cose; l’Internet delle Cose è un internet come dice il termine è fatto di cose anziché di codice.

Ma se volessimo provare a creare uno di questi oggetti connessi e intelligenti? Chiunque possegga delle basi di informatica ed elettronica, può cimentarsi nella realizzazione della propria rete IoT.

Piattaforme Internet delle Cose

Esistono moltissime piattaforme di sviluppo, sia hardware che software, che permettono di realizzare oggetti intelligenti da collegare alla rete. Concentriamoci su quelle hardware.

Parlando di hardware, per chi si è avvicinato o si vuole avvicinare a questo mondo, ci sono due nomi che troveremo praticamente ovunque:

Il primo è un “mini computer”, giunto ormai alla quarta versione, equipaggiato con processore ARM e fino a 4 GB di RAM. Questo mini pc presenta anche una grande varietà di Input/Output, utilizzabili per collegare una vastissima serie di sensori ed attuatori. Grazie alle librerie di interfaccia, disponibili per (quasi) qualsiasi linguaggio di programmazione, sarà possibile creare il proprio oggetto connesso seguendo uno dei numerosissimi tutorial reperibili in rete.

Arduino e Argon, invece, sono microcontrollori programmabili.

Di entrambi i prodotti esistono diverse versioni, ma nelle configurazioni più usate troviamo, come precessori, un ATMEGA328P per l’Arduino UNO e un CORTEX M4F a 32 bit per l’Argon. Anche questi “micro” presentano una ampia serie di INPUT/OUTPUT, grazie ai quali potremo collegare sensori e interagire con il mondo fisico.

La scelta della piattaforma è figlia di diverse considerazioni; prima tra tutte la competenza in ambito elettronico e di programmazione.

Raspberry, infatti, è un computer a tutti gli effetti, il che significa avere un monitor (e quindi una interfaccia grafica alla quale tutti siamo abituati), un mouse e la tastiera che ci permettono di interagire con l’apparecchio e la possibilità di lavorare, sul codice che scriveremo, in modo più intuitivo. In aggiunta, proprio per le sue caratteristiche hardware, Raspberry rappresenta, tra le tre prese in considerazione, la soluzione nettamente più potente in termini di prestazioni.

Arduino e Argon sono molto simili dal punto di vista degli I/O e quindi, almeno in questo articolo, paragonabili. Trattandosi di microcontrollori, presentano un livello di difficoltà, per il neofita, leggermente superiore. Qui non avremo a che fare con un semplice PC, ma con un processore che esegue una serie di istruzioni in modo ciclico.

Questo tipo di piattaforme sono anche più legate ai linguaggi usati per programmarli: ogni piattaforma ha il suo linguaggio e il suo ambiente di sviluppo. Teniamo presente che, per tutte le soluzioni riportate, stiamo parlando di strumenti per la prototipazione e non per il rilascio di soluzioni vere e proprie. Queste piattaforme permettono infatti una prototipazione rapida e la possibilità di cimentarsi in modo semplice ed intuitivo con i concetti base dell’Internet delle Cose.

Nei prossimi articoli vedremo assieme la realizzazione di sensore IoT.

Stefano Bosotti
Industrial IoT Manager – smeup
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Published On: Luglio 15th, 2019 / Categories: IOT / Tags: , , , , , , , /

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